Dagli Chassepot all’iMac
(da Camiciarossa.org) “E Garibaldi? […] Sconfortato, prende una decisione:” …A causa dello stato morale basso della gente, e trovandoci noi chiusi a nord dai corpi dell’esercito italiano che ci impedivano con la loro presenza di procurarci ciò che ci necessitava, dovevamo assolutamente cercarci un altro posto dove fare l’accampamento. Perciò, lasciato Monterotondo, venne deciso di incominciare la marcia il 3 novembre al mattino”. E qui un desolante particolare: “Ma non tutti avevano le scarpe, e perdemmo tempo nella distribuzione per cui ci muovemmo soltanto verso mezzogiorno”.
Ed inizia la tragedia.
Tutto il corpo dei volontari, lasciato Monterotondo, imbocca la Nomentana diretto verso Tivoli, ma appena superato il paese di Mentana si trova di fronte un forte contingente di papalini usciti da Roma per affrontarli. I garibaldini sono inizialmente costretti ad arretrare su Mentana dove però la battaglia volge a loro favore e gli avversari sono messi in fuga. Ma ecco sopraggiungono in loro soccorso i francesi appena arrivati a Roma inviativi in gran fretta da Napoleone III. Di fronte ai loro micidiali “chassepot”, i nuovi fucili a retrocarica che sparavano 12 colpi al minuto (gran belle armi, usate per la prima volta a Mentana) ogni resistenza è vana. I garibaldini sono costretti a lasciare Mentana”
Nella battaglia tra i garibaldini si conteranno 150 morti, 240 feriti, mille600 prigionieri. 30 i morti tra i papalini. 2 soli morti nelle truppe francesi.”
Alle nove di mattina comincia così la giornata di lavoro insieme al mio amico fotografo Sergio. Siamo stati scelti e incaricati dalla direzione del Museo Garibaldino di Mentana per creare il nuovo sito del museo www.mugamentana.it.
Di solito, quando ricevo dei brifing, chiedo sempre al “cliente” approfondimenti sulla sua attività. Ma in questo caso, ho immaginato con quale ardore i garibaldini (molti volontari ed alcuni ragazzi) hanno combattuto, e quanti hanno perso la vita seguendo il loro profondo ideale.
Come fortunatamente succede da tre anni, anche quest’anno ho la fortuna di poter collaborare con un liceo artistico della mia città insegnando come tecnico esterno nel progetto Terza Area.
Poche ore a settimana ma già sufficienti a percepire il linguaggio dei ragazzi. I loro “meme” quotidiani. Le paure e gli interessi. Ho due figli leggermente più grandi dei miei allievi ed avere 18 anni o averne 21 a quell’età fa la differenza. Non molta ma percepibile.
Ogni volta mi preparo la lezione cercando il modo più leggero per trasmettere terminologie tecniche ed elaborazioni complicate. Pescando tra i miei lavori recenti, che loro potrebbero aver visto in giro, oppure ricercando esempi a loro vicini, cerco di parlare di maschere di opacità, trame sfumate, esportazioni dei file per la stampa, salvataggi per il web oppure di elaborazione tracciati, ricalco dinamico e filtri 3D.
Ormai ho imparato a conoscere i miei allievi e, in uno in particolare ho individuato il “timone” delle mie parole. Se corro troppo la vedo guardarmi a bocca aperta con lo sguardo perso; se invece sono ripetitivo su un concetto subito si distrae. Questa persona non sa quanto sia lei ad insegnare a me piuttosto che il contrario.
Mi insegna quanto i ragazzi siano “bulimici” di informazioni, di soluzioni, di novità. Mi insegna anche che solo in pochi si sforzano di impegnarsi nella ricerca delle stesse informazioni, soluzioni e novità. Sembra un discorso già sentito da mio padre…ma quando ero giovane dovevo essere io a fare ricerche su testi, enciclopedie mentre oggi esiste Wikipedia. Basta un copia-incolla.
Da consulente ad “amico”
“Accompagnare il cliente dalla nascita al successo”, il nostro slogan, ci pensavo proprio in questi giorni in cui uno dei nostri clienti ha partecipato allo SMAU di Milano.
Il nostro lavoro di consulenza comincia sempre dall’ascolto e poi le successive fasi: elaborazione e proposta.
Ma alla base di tutto manteniamo costantemente una posizione: la più completa empatia con il cliente. Anche se ritengo che una prospettiva obiettiva e distaccata ci permetta di analizzare al meglio la situazione, non riusciamo a non farci carico di alcune problematiche del cliente e farle nostre. E solo così riusciamo a trovare la soluzione più giusta.
Quanto è giusto spendere in pubbicità?
Mi riesce sempre difficile salire in cattedra e spiegare alcune nozioni. Preferisco raccontare di getto le mie esperienze. Ma stavolta, purtroppo dovrò attenermi a dei “dati” senza allontanarmi troppo.
Molto spesso il marketing e la pubblicità sono percepiti come sinonimi.
Nella realtà non è così: il marketing è tutto un insieme di elaborazioni dati, analisi, obiettivi e decisioni. La pubblicità riveste la fase finale del primo. Oserei quasi spingermi ad un’iperbole/equazione: la pubblicità sta al parto come il marketing alla gestazione.
Uso questo paragone eccessivo per sottolineare il fatto che prima di fare pubblicità occorre “aver fatto” alcuni passaggi . Innanzitutto aver individuato l’obiettivo; avere analizzato la concorrenza; il mercato; il target e aver deciso il prezzo.
Quindi, rispondendo a tutti i miei clienti e a quelli futuri (benvenuti!) che a volte mi chiedono quanto sia giusto spendere in pubblicità, mi limito a dire che ci sono diversi metodi per individuare l’investimento giusto.
Ma, a grandi linee, posso anticipare un’indicazione media. Tenendo conto del fatturato annuo dell’azienda, le percentuali più comunemente utilizzate sono il 5-10% per le medie aziende, il 20% per le piccole ed tra il 2-5% per le grandi aziende.
Di solito questa è la loro espressione
Quando poi spiego che più un’azienda vuole una crescita veloce più alte dovranno essere le percentuali. Alcune aziende, tolte le spese, rischiano addirittura l’ALL IN.
Alcune sera fa, spaparanzato sul divano con la tazza della tisana fumante sul tavolino, faccio zapping cercando di chiudere la serata rilassato e senza pensieri.
Saltando tra un canale e l’altro mi imbatto in uno stacco pubblicitario. Uno spot in particolare cattura la mia attenzione. Si vedono dei bambini che si accingono a giocare su una casetta sull’albero.
Mi tocca nell’intimo, mi fa ricordare i momenti belli ed emozionanti dell’infanzia in cui le giornate non finiscono mai: ogni giorno è un’avventura, un viaggio, un sogno. E così cresciamo. Inseguendo dei sogni cercando di trasformarli in realtà. La casetta sull’albero è la prima espressione del sogno di avere uno spazio tutto nostro dove rifugiarci dal mondo, da condividere in amore o in amicizia con le persone più care. Uno spazio dove “piantare” altri sogni.
Abbiamo conosciuto il grande impegno necessario per costruire la casa sull’albero: trovare il legname, scegliere le assi migliori per il pavimento per sostenerci, le pareti per ripararci, il tetto per non bagnarci, il parapetto per non cadere di sotto, la scaletta per salire e la corda per scendere!
Quanto impegno invece ci chiede costruire una casa vera?! La nostra prima casa “vera”.
Ma non saremo da soli a farlo. C’è chi ci aiuta. Esiste una banca a cui possiamo chiedere aiuto, un mutuo per iniziare a trasformare il nostro sogno in realtà.
La trovo proprio una buona idea pubblicitaria. Ecco il key frame dello spot pubblicitario:
1 minuto di pubblicità, tante ore di lavoro
Hai mai visto uno struzzo che vola? No, perché le sue ali, che non sono proporzionate al corpo, non lo sostengono in volo.
Oppure si, con Samsung, perché con Samsung puoi fare anche ciò che non ti sembra possibile!
1 minuto di “pubblicità”, senza dialoghi! In realtà il video è pieno di messaggi e concetti che, passando dalle emozioni, fanno breccia nella nostra mente attraverso le fessure dell’inconscio.
In questo spot, l’aspetto creativo lo rende vincente: sorprendentemente eccezionale, nonostante la sua apparente semplicità.
Per arrivare a ciò che SI VEDE (spot), si passa attraverso analisi, studi e proposte che NON SI VEDONO, frutto del lavoro di professionisti, esperti di diversi reparti: dal Marketing fino ad arrivare ai Reparti Creativi, Reparti Produzione ed Esecutivisti.
Il Marketing dove è?
Dai, sbirciamo insieme un pezzettino, molto semplificato, del lavoro che svolge il reparto Marketing Samsung per arrivare a costruire questo spot.
In ogni progetto di comunicazione esistono sempre due momenti critici:
1) il foglio bianco
2) il font da scegliere
Nonostante i font siano divisi per famiglie (Bastoni, graziati, corsivi, egiziani, etc.) ed ogni famiglia contempla centinaia di font declinati a loro volta in decine di forze d’asta (dall’extralitgh all’extrabold; condensed o extended, normal o Italic), succede che ad ogni progetto mi si scatena dentro la guerra dei font. È come essere in preda ad una indecisione profonda basata su piccolezze che la stragrande maggioranza dei lettori neanche noterà. Ma noi si. Noi grafici ci impuntiamo e spendiamo mezz’ore tra una grazia rigida o morbida, ingurgitiamo caffè riflettendo sul Futura o sull’Helvetica Neue.
In preda a queste crisi penso spesso ad altri professionisti e a come ne verrebbero fuori. Proviamo a pensare ad una stilista che dopo aver disegnato, cucito e provato il suo bellissimo vestito è giunta al momento di scegliere i bottoni: grandi, piccoli, colorati o grigi, in bachelite o ricoperti in tessuto, tondi o squadrati, concavi o convessi, a 4 o 2 buchi.
Dopo tanti anni il Centro Marini Ferramenta uscirà nuovamente in comunicazione e per sbalordirvi si è affidato al nostro team Marconi ArtLab. Questa estate avevamo anticipato il nostro progetto dandonevene un assaggio sulla nostra pagina Facebook, oggi ne vediamo insieme i risultati portandovi con noi nel backstage, tra lucchetti e chiavi inglesi.
Che fine hanno fatto i Puntotel?
Una sera piovosa, dopo aver “circumnavigato” il centro storico, riesco a trovare parcheggio in una piazzetta dalla parte opposta alla nostra agenzia. Fermo la macchina proprio vicino ad una cabina del telefono. Una cabina del telefono? Erano anni che non ne incontravo una! E questa, per di più, aveva anche la luce del soffitto accesa. I miei figli non avranno mai visto un gettone del telefono ma almeno questo armadietto di vetro sarà per loro testimone dei nostri attimi passati in strada cercando di contattare gli altri. Amici che non arrivano mai, amanti o peggio carroattrezzi o l’uffico per comunicare un ritardo.
Ho provato un tuffo al cuore quando ho ripensato ai tempi in cui in AT studiavamo il marchietto per abbigliare i PuntoTel (così chiamavano gli addetti ai lavori le simpatiche cabine e le ampolle in plexiglass).
Erano i tempi in cui un ometto baffuto condannato a morte nel deserto preferiva una telefonata alla sua ultima sigaretta. E questo ci bastava per farci sentire sicuri.
http://www.youtube.com/watch?v=NTC8C8RdQcg
Il gestore telefonico era uno e solo, monolitico e dittatoriale. leggi tutto
In questi giorni oramai estivi andare in ufficio può diventare un pensiero difficile, ma quando l’ufficio è creativo allora tutto cambia.
Eggià perché l’ambiente di lavoro è importante, lo sanno tutti, ma quello che forse non tutti sanno è come ogni scelta d’arredo possa aiutarci a lavorare meglio.
Per noi creativi forse l’ufficio perfetto non esiste, il mondo (l’universo?) intero è il nostro ufficio, eppure anche noi a volte abbiamo bisogno di un tavolo ed una sedia…. E metterli al centro di una piazza o in un bosco non sempre è comodo, specie quando piove.
Quello che allora possiamo fare è riproporre nel piccolo ciò che di solito troviamo nel grande, perché è anche da ciò che vediamo intorno a noi che prendiamo ispirazione. Per questo è facile preferire in uffici come il nostro l’uso di colori luminosi e vivaci, che stimolano l’emisfero destro del cervello, sede della creatività. Per non parlare poi di quei posti dove nella zona relax spesso troviamo il flipper o il mitico “biliardino”, cose che ci fanno dire “… voglia di lavorare…” e invece no! Perché con l’attività del gioco il nostro cervello razionale, quello sinistro, viene messo a riposo… che per noi vuol dire essere concentratissimi!